Oggi ci immergiamo in un tema tanto profondo quanto affascinante: la guarigione ancestrale.
Questo articolo nasce a partire da un intenso incontro di gruppo guidato da Sabrina Ferrero, durante il quale abbiamo esplorato come le storie, i dolori, ma anche le forze dei nostri antenati non siano affatto un capitolo chiuso. Al contrario, sono un’eredità viva che, che ci piaccia o no, continua a modellare il nostro presente.
Partiamo da una domanda che spesso tocca corde molto profonde:
è mai capitato di sentirsi bloccati? Da paure ricorrenti, da schemi che si ripetono, senza riuscire a capirne l’origine?
E se quel peso che sentiamo addosso non fosse del tutto nostro?
Se fosse un eco che arriva da molto, molto lontano?
Per comprendere meglio questo processo, seguiamo un percorso preciso: partiremo dall’eredità invisibile che ci portiamo dentro, ne esploreremo le radici filosofiche, passeremo poi a strumenti pratici per onorare e lasciare andare, fino ad arrivare al ruolo centrale della compassione nel processo di guarigione.
Il concetto di base, a pensarci bene, è tanto semplice quanto potente:
le storie non concluse, i dolori non espressi e i traumi dei nostri antenati non svaniscono con il tempo. Continuano a scorrere come un fiume sotterraneo di generazione in generazione, influenzandoci in modi che spesso non riusciamo a comprendere.
Durante l’incontro è emerso come questa influenza possa arrivare fino a sette generazioni indietro. Significa che potremmo portare dentro di noi l’eco di esperienze vissute nel Settecento o nell’Ottocento.
Questi traumi, lutti e storie messe a tacere diventano una sorta di bagaglio invisibile, che oggi può manifestarsi sotto forma di difficoltà relazionali, schemi che si ripetono o un senso di pesantezza di cui non riusciamo a individuare la causa.
Ma perché accade tutto questo?
Qual è la visione spirituale che sostiene questo lavoro di guarigione?
Al centro c’è il concetto della ruota del samsara. La reincarnazione, in questa prospettiva, non è una punizione né un fallimento, ma una grande opportunità: ogni vita diventa una possibilità per l’anima di imparare, crescere e risolvere ciò che è rimasto in sospeso.
A questo si collega il concetto di bardo, una sorta di limbo energetico. Se un antenato, magari morto in modo traumatico, non viene visto o onorato, la sua energia può rimanere bloccata. Il lavoro di guarigione serve quindi a liberare loro, permettendo loro di andare avanti, e allo stesso tempo a liberare noi dall’eco di quel dolore.
Tutto questo si riassume in una frase di straordinaria semplicità e potenza, citata da Sabrina Ferrero e attribuita a Bert Hellinger, padre delle costellazioni familiari:
Io ti vedo. Ti riconosco. Hai un posto tra noi.
A volte non servono rituali complessi.
Basta un atto di riconoscimento, il dare un posto a chi è venuto prima.
Ma come si fa, concretamente?
Un primo passo è diventare una sorta di investigatori della propria famiglia: ricostruire date, nomi, storie. Non per semplice curiosità genealogica, ma per rendere visibile l’invisibile. Spesso è proprio tra quelle date che emergono sincronicità sorprendenti con la nostra vita.
Un altro strumento molto potente è la lettera liberatoria. Scrivere permette di far uscire tutto senza filtri. Il rituale del fuoco non serve a distruggere, ma a trasformare, a liberare l’energia e lasciarla andare.
Il momento forse più intenso dell’incontro è stato un rituale guidato, una preghiera sacra dedicata al lignaggio materno, pensata per onorare e liberare la linea femminile.
Prima della preghiera vera e propria, vengono proposti alcuni gesti preparatori. Non sono casuali: servono a calmare il sistema nervoso, ad attivare i centri energetici e a creare una connessione quasi fisica con ciò che si sta per fare.
La preghiera si apre con una dichiarazione di intenti estremamente potente:
“Io rilascio.”
Non si tratta di negare il passato, ma di scegliere consapevolmente di non portare più un fardello che non ci appartiene. È il momento in cui si riconosce che molte delle nostre paure e dei nostri limiti non sono davvero nostri, ma ereditati. Pronunciare queste parole è un vero atto di potere.
Il rituale si conclude con un gesto fisico: il peso che era sulla nuca viene preso, guardato con amore e gratitudine, e poi offerto all’universo. Non è più un fardello, ma energia libera.
Alla fine di questo percorso, cosa resta?
Non la cancellazione del dolore, ma la sua trasformazione in forza attraverso la compassione.
Se un familiare non comprende o rifiuta il nostro dolore, spesso non è cattiveria, ma il riflesso della sua sofferenza irrisolta. La chiave per rompere questo ciclo non è la rabbia, ma la comprensione.
È fondamentale distinguere tra:
la pietà, che crea distanza e un senso di superiorità
la compassione, che riconosce la fragilità comune e crea connessione
Il vero scopo di questo lavoro non è solo guardare indietro per guarire il passato, ma assumersi la responsabilità nel presente: diventare un punto di svolta, un ponte, per interrompere la catena del trauma e creare un’eredità più leggera e luminosa per chi verrà dopo.
La trasformazione profonda non avviene attraverso eventi eclatanti o catarsi improvvise, ma attraverso piccoli passi costanti, compiuti con amore, umiltà e gentilezza verso se stessi.
La riflessione finale che questo percorso ci lascia è questa:
quale storia stanno cercando di raccontare i nostri antenati attraverso di noi?
Forse il primo passo per riscrivere il nostro futuro è proprio trovare il coraggio di ascoltare e onorare il loro passato.